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Educazione da scout
Comunità Capi

Era l'epoca d'oro dei Pokemon, iniziava per me l'avventura come capo scout, prima con i ragazzini dai 9 ai 12 anni, poi con ragazzi più grandi, dai 12 ai 16. Ho imparato a conoscerli tra una figurina e l'altra, nell'ennesima partita a calcio o a palla bollata, montando insieme la tenda sotto la pioggia: nei loro discorsi la scuola, i mille impegni, i giochi, le amicizie, i miti, le cotte, i castelli in aria... Mi sono sentita spesso molto vicina a loro, e non è stato sempre facile trovare quella giusta miscela tra confidenza e autorevolezza che gli stessi ragazzi cercano...



Si aspettano molto da un capo. Uno grande, ma che ha vissuto da poco quello che stanno vivendo, che scherza e gioca con loro, ma sa essere serio e severo quando serve. Non è stato certo facile per me misurarmi con l'energia inesauribile dei ragazzi e imparare a non essere "troppo buona", né a farmi provocare ogni volta.

Quando si riesce a conquistare la loro fiducia e a soddisfare le loro aspettative - trovare un gruppo accogliente in cui essere se stessi e sperimentare avventure e attività che abbiano un senso - i Trovare un gruppo accogliente dove essere se stessiragazzi sono davvero disponibili a impegnare molto tempo e risorse, a dare il meglio senza riserve. Qui il rapporto con l'educatore non si spende solo in parole, ma soprattutto nell'esempio concreto, nello stile di vita, nelle piccole azioni quotidiane.

Dal dialogo nasce un percorso di crescita su misura di cui ogni bambino, ogni ragazzo, se lo vuole, è protagonista. II capo aiuta a mettersi di fronte in modo attivo alle proprie capacità, desideri, responsabilità, mancanze: a fare ordine; insieme si fissano concretamente delle tappe personali di cui il  gruppo sia  partecipe e  possa verificare  e  riconoscere  l'impegno.

Ricordo come rispetto e affetto sono nati vivendo in comune esperienze autentiche: tutti a soffiare perché il fuoco non si spenga,... nodi e legature da imparare per grandi costruzioni... momenti di ascolto paziente... o interventi decisi, come quando sono stati "sgamati" a fumare in uscita di squadriglia...!

Crescendo, i ragazzi diventano a volte un po' sfuggenti, enigmatici, ferocemente critici e difficili da coinvolgere in attività che fino a poco tempo prima li entusiasmavano: cose superate, da bambini, ormai interessa loro ben altro, non sanno bene neanche loro cosa, ti fanno capire che stanno su un altro pianeta, magari ti sfidano, come per misurare nuovi confini.

Cercano di definirsi attraverso le compagnie, la musica che ascoltano o suonano, il look (anche nelle più impervie condizioni dei campi, c'è chi non si lava la faccia da giorni, ma al gel non ci rinuncia, esili fanciulle si sobbarcano enormi zaini per potersi cambiare tre volte al giorno...) per sentirsi unici, ma anche uguali agli altri, accettati.

...fare cose speciali, da grandi, che non tutti fanno...

Per riconquistarli, aiutandoli a far emergere il carattere autentico, al di là di quel senso di apatia e di distanza, è necessario valorizzare questo bisogno di " parlare di sé" in prima persona, di trasgredire, offrendo occasioni di fare cose "da grandi", speciali, che non tutti fanno.

Anche se il pensiero corre ai recenti tragici fatti di cronaca, occorre scommettere molto sulla tendenza spontanea dei ragazzi a ritrovarsi tra loro in piccoli gruppi, senza gli adulti, a combinare chissà quali avventure, sapendo però di poter contare su di loro, e di essere in ogni momento responsabili di ciò che fanno.

E' importante che i piccoli gruppi sappiano conquistare la fiducia degli educatori e una graduale autonomia, e che all'interno di essi ognuno abbia un ·ruolo preciso e riconosciuto, in base all'età, alle competenze e ai talenti. Si sbaglia, si litiga, per decidere i colori di un murales o come si cucina, tante ...é necessario un certo modo di giocare, di passare la palla, di sorridere...soddisfazioni ma anche riunioni in cui sembra di non concludere niente, e allora  “chi me lo fa fare di stare ad ascoltare voi ?!!” Tutti che vogliono comandare e nessuno che vuole fare legna. È forte l'abitudine a fare e ottenere quello che si vuole senza pensarci troppo, cosi non è facile far digerire e comprendere la necessità di confrontarsi con una legge comune, positiva ma esigente.

Ma è proprio vivendo la legge nelle situazioni più coinvolgenti e intense, nei giochi, dove la voglia di vincere spesso prevale su tutto il resto, che si sperimenta come, per divertirsi veramente, per avere soddisfazione in uno scontro leale. per riuscire a parlarci, le regole esterne siano necessarie; ma più di tutto, è necessario un certo modo di giocare, di passare la palla, di sorridere.

                                       Paola Candelpergher


(Tratto da “Scuola e didattica, problemi e orientamenti per la scuola media, XLIX, 6, 15 Novembre 2003, pag 17)




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